
L’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Caserta e Universitas Mercatorum hanno organizzato il master di secondo livello in materia di Giustizia tributaria italiana ed europea.
Le materie trattate da illustri magistrati, professionisti e docenti universitari, con la coordinazione del Prof. Pasquale Menditto, giudice CTR Napoli, si riferiscono a questioni di particolare importanza in campo processuale e sostanziale del diritto tributario italiano ed europeo.
Pertanto, a titolo puramente sollecitativo, si ritiene opportuno proporre talune riflessioni in merito ai limiti interni ed esterni della giurisdizione tributaria italiana, nonché ai limiti difensivi che ne scaturiscono nei confronti del contribuente, sia per le fasi del contenzioso celebrate innanzi alla giurisdizione speciale, che per le fasi dell’esecuzione celebrate innanzi al giudice dell’esecuzione (AGO).
L’art. 2 del decreto legislativo n. 546/1992 dispone che le Commissioni tributarie sono competenti per tutte i rapporti di natura impositivo-tributaria, ad esclusione della fase concernente l’esecuzione forzata che, come è noto, inizia con il pignoramento dei beni del debitore ex art. 491 e segg. c.p.c.. Trattasi di un atto che presuppone la notifica della cartella di pagamento, oppure dell’avviso di cui all’art. 50, comma 2, del DPR n. 602/1973.
Pertanto, appare evidente che tutte le questioni inerenti la fase dell’accertamento fiscale, comprensiva di ogni problematica di natura “amministrativo-decadenziale”, svolta dagli Enti impositori, nonché quella successiva di natura “riscossivo-prescrizionale”, svolta dal concessionario della riscossione, appartengono alla giurisdizione speciale delle Commissioni tributarie.
Tale giudice si occupa, quindi, sia delle controversie inerenti la fase, tipicamente pubblicistico-amministrativa, della definizione della pretesa, generalmente soggetta a termini decadenziali, sia delle controversie inerenti la fase successiva, generalmente soggetta a termini prescrizionali, concernente l’esazione del credito, una volta divenuto certo, liquido ed esigibile, con esclusione degli atti di esecuzione forzata.
Ogni atto notificato al contribuente può essere impugnato entro il 60° giorno dalla notifica, pena l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 21, comma primo, del D. Lgs n. 546/1992.
Se l’impugnativa è intempestiva o mancante, l’atto acquista definitività, così costituendo legittimo presupposto degli atti successivi, comprese le attività di riscossione.
Sul punto, devesi ricordare che la pretesa tributaria, per essere legittimamente opposta al contribuente-debitore, deve essere scandita in tutte le sue fasi procedimentali (cfr. Cass. SS UU. N. 16412/2007). Nessuna deve mancare.
Pertanto, un atto affetto da nullità, non impugnato nel termine decadenziale di 60 giorni sopra citato, acquisisce piena capacità di esplicare i suoi effetti. Costituisce valido presupposto degli atti successivi, i quali non potranno essere considerati affetti da nullità derivata, in quanto l’inerzia del contribuente rispetto all’atto presupposto, in tesi affetto da nullità assoluta, assume in materia tributaria una valenza sostanziale tale da renderlo definitivo ed inattaccabile.
Ecco il primo limite interno della giurisdizione tributaria : Non si applica l’art. 1421 c.c., nonché l’art. 31, comma 4, D. L.vo n. 104/2010 (Veggasi sentenze Cassaz n. 25508/2013 e n. 18448/2015 Rel. Dr Stefano Olivieri). In sostanza, mentre nel diritto civile, il giudice può rilevare d’ufficio, purché ex actis, la nullità di un contratto, sia pure previo contraddittorio tra le parti, come spiegato prima delle SS. UU. con sent. N. 14828/2012 e poi dalle “ Sentenze Travaglino” Cass. SS. UU. nn. 26422 e 26423/2014, nel diritto tributario, non solo il giudice non può rilevarla ex officio, ma neppure su sollecitazione della parte interessata. In sostanza, il diritto tributario, a differenza del diritto comune e del diritto amministrativo, non conosce la nullità derivata di un atto, in presenza di un atto presupposto, in tesi nullo, ma ritualmente notificato e non impugnato nel termine decadenziale ex art 21/546.
Quale la “possibile-residua” difesa del contribuente rispetto ad un atto, motivato con un precedente atto costituente fase procedimentale essenziale della sequenza predisposta dalla legge, affetto da una obiettiva e assoluta nullità ?? In tal caso, il contribuente sicuramente non può più fare leva sulle questioni puramente tributarie, altrimenti verrebbe svuotato di significato il più volte citato art. 21/546. Egli, però, potrebbe rivolgersi all’amministrazione impositrice per l’annullamento in sede di AUTOTUTELA dell’atto successivo per OBIETTIVA ED ASSOLUTA carenza di legittimità dell’atto presupposto, facendo leva sugli OBBLIGHI di IMPARZIALITÀ E BUON ANDAMENTO di cui all’art. 97 Costituzione. In sostanza, l’azione difensiva, ferma nella giurisdizione tributaria, dovrebbe far leva sui tipici obblighi di una P.A. e non su questioni di natura tributaria ex art. 53 Costituzione. A mio parere, il contribuente inerte, avendo “volontariamente” attribuito piena legittimità all’atto, in ipotesi assolutamente nullo, non può trovare più alcuno spazio difensivo nella materia tributaria, ma in quella più generale AMMINISTRATIVA, alla cui CORRETTEZZA ed IMPARZIALITÀ è SEMPRE chiamata la P.A. impositrice. L’oggetto dell’impugnazione innanzi al giudice speciale della materia (Commissione tributaria) è dato dal diniego espresso o silenzio-diniego di un atto obbligato ai fini della suddetta imparzialità e correttezza. L’impugnativa vedrebbe il contribuente quale attore sostanziale e processuale, onerato della prova ex art. 2697, comma primo, c.c.. Inoltre, il contribuente ha l’arduo compito di attaccare l’atto espresso di diniego, oppure un atto non emesso (il silenzio-rifiuto), ai sensi dell’art. 3 della citata legge n. 241/1990, facendo leva sui punti di diritto e di fatto, nella visione di cui al citato art. 97 Cost. . Si comprende che i casi di possibile accoglimento saranno limitatissimi. Trattasi di obbligazioni tributarie completamente infondate, aliunde riconoscibili tali, e che si sostanzierebbero in un ineccepibile indebito arricchimento della P.A. impositrice a danno del contribuente inerte.
La suddetta azione giudiziaria in autotutela è assolutamente ECCEZIONALE se si pensa che gli atti impositivi delle autorità tributarie non vivono mai una fase di annullabilità, quindi di efficacia perplessa o precaria. Essi sono legittimi o nulli, mai ANNULLABILI : l’atto viene ad esistenza nelle “mura” dell’amministrazione emittente, poi notificato al destinatario per attribuirgli efficacia, ma nei primi 60 giorni dalla notifica rimane inefficace, in attesa che il contribuente decida di impugnarlo o meno. Se l’atto tributario viene impugnato esso rimane in “uno stato di nullità”, o meglio di inefficacia totale. Nel caso in cui la Commissione tributaria accoglie il ricorso sancisce definitivamente tala nullità. Se, invece, dovesse rigettare totalmente o parzialmente il ricorso del contribuente, attribuirà valenza di legittimità ad un atto che, grazie all’attività del Giudice terzo, si è TRASFORMATO in un atto giudiziale. A seguito della “novazione giudiziaria” non ci troviamo più di fronte ad un atto del potere esecutivo dello Stato, quindi ad un atto amministrativo, bensì, di fronte ad un atto giudiziario : LA SENTENZA. Quindi, mai l’avviso di accertamento è annullabile (per completezza, sui punti sopra evidenziati, si vedano le sentenze Cassaz. SS. UU. n. 25790/2009, e la recentissima, Cassaz. SS. UU. n. 23397/2016, in merito alla novazione giudiziale, rispettivamente in campo tributario e previdenziale, nonché Cassaz. SS. UU. nn. 26242 e 26243/2014, per ciò che riguarda i principi del diritto civile sulla nullità e annullabilità dei negozi giuridici). Neppure il meccanismo impugnatorio del ricorso tributario che trasforma, da un punto di vista PROCESSUALE, i motivi di nullità di diritto SOSTANZIALE, in motivi di annullabilità-invalidità, può cambiare la matura giuridica dell’atto recante la pretesa tributaria.
Esso è nullo o valido, mai annullabile!
Detto meccanismo, però, ci spiega il perché la nullità di un atto tributario non potrà giammai essere rilevata d’ufficio, quindi la inapplicabilità dell’art. 1421 cc, nonché dell’art. 31, comma 4, del decreto sul processo amministrativo.
Ciò che non è IMPUGNATO dal contribuente, è da lui accettato, quindi reso definitivamente valido e legittimo ed intangibile, anche nei confronti del potere giudiziale.
Cerchiamo ora di volgere lo sguardo ai limiti esterni della giurisdizione tributaria.
Come si diceva, l’art. 2 del decreto sul processo tributario dispone che solo gli atti dell’esecuzione forzata sono esclusi dalla giurisdizione del giudice speciale. Quindi rientrano nella giurisdizione del giudice dell’esecuzione le impugnative riguardanti il pignoramento dei beni e quelle relative agli atti ad esso successive. Va subito dato atto che tutto ciò che non è stato eccepito nella fase della cognizione non può essere proposto nella fase dell’esecuzione civile. Il contribuente deve limitarsi ad impugnare l’atto di pignoramento per vizi propri, non certamente per vizi inerenti la notifica o la regolarità del titolo esecutivo o del precetto (ad es. ruolo o cartella di pagamento). Questi ultimi sono atti che rientrano nella COGNIZIONE del giudice speciale, per cui non sono consentiti “salti” di giurisdizione. La materia è stata oggetto di analisi della terza Sezione della Corte di Cassazione, ed in particolare della dott.ssa Barreca Luciana Giuseppina. Si veda, in particolare, la sentenza della Suprema Corte n. 9246/2015.
Trattandosi di limiti esterni ad un determinato potere giurisdizionale, tenuto conto che la demarcazione è ulteriormente sottolineata dal passaggio da una giurisdizione speciale di cognizione, alla giurisdizione ordinaria di esecuzione, il Legislatore ha posto precisi ed insormontabili divieti con l’art. 57 del D.P.R. n. 602/1973.
Dalla lettura della norma, emerge che l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 del c.p.c. è ammessa solo per questioni inerenti la pignorabilità dei beni. E’ nota l’espressa vocazione cognitiva di tale strumento difensivo, per cui, tenuto conto che la cognizione tributaria appartiene al giudice speciale, appare giustificabile il carattere assolutamente residuale di tale strumento difensivo innanzi all’AGO. In sostanza, la norma potrà trovare applicazione nei casi di pignoramento presso terzi da parte del debitor debitoris (terzo pignorato) e in casi particolari, nei quali lo stesso contribuente esecutato potrà eccepire limiti esecutivi sui beni oggetto del pignoramento.
Una maggiore apertura è rinvenibile per l’applicazione dell’art. 617 del c.p.c. . Infatti, la lettera b) del citato art. 57/602 dispone che l’opposizione agli ATTI ESECUTIVI, NON è possibile solo nei casi inerenti la contestazione della regolarità formale e della notifica del titolo esecutivo (ruolo, cartella di pagamento, avviso ex art. 50, comma 2, DPR n. 602/1973, ingiunzione fiscale, ecc.). Quindi, è possibile per la contestazione di vizi propri degli atti esecutivi che non attengono ai sopracitati “aspetti secondari” relativi alla notifica del titolo esecutivo ed al precetto. Ad esempio, è impugnabile l’atto di pignoramento per (totale) carenza di notifica del titolo esecutivo o del precetto. Ovviamente, occorre stare attenti ad impugnare, innanzi al giudice dell’esecuzione, l’atto di pignoramento per vizi suoi propri, anche se dovuti a nullità derivata, come ad es. carenza assoluta di notifica degli atti presupposti, ma non possiamo giammai impugnare innanzi al G. E. tali atti presupposti, che rimangono radicati nella giurisdizione speciale cognitiva delle Commissioni tributarie. L’impugnativa sarebbe inammissibile per difetto di giurisdizione, con conseguente definitività dell’atto esecutivo per carenza di impugnazione nei termini ex art. 617 e segg. c.p.c .
Quindi, se gli atti presupposti non furono impugnati, nel previsto termine decadenziale di 60 gg dalla notifica, innanzi alle C.T., non possiamo certamente farlo successivamente innanzi al G.E., in occasione della notifica del verbale di pignoramento ex art. 492 c.p.c. .
Appare assolutamente evidente come il contribuente debba essere attento ad impugnare tempestivamente le pretese tributarie innanzi al giudice speciale tributario, non avendo la possibilità di “rimandare” la propria azione difensiva innanzi al giudice ordinario dell’esecuzione.
In definitiva, si ritiene che il processo tributario presenti rilevanti limiti interni ed esterni rispetto al processo civile, nonché al processo amministrativo di cui al D. L.vo n. 104/2010.
Conclusivamente, non va escluso che il complesso normativo regolante la difesa del contribuente presenti, all’attualità, segnali di incostituzionalità per violazione dell’art. 24 della Costituzione.
Work in progress