
Stiamo attenti ai facili passaggi di gestione che, nella realtà, sostanziano cessioni d’aziende.
Talvolta, il nostro assenso al cessionario che vuole subito arrivare al suo scopo (possesso di un’azienda già in essere) potrebbe costituire una pericolosa e superficiale consulenza, prestata dal commercialista poco sensibile al combinato disposto dei commi 4 ed 1 dell’art. 14 del D.L.vo n. 472/1997.
La pericolosità di tali comportamenti è stata spiegata dalla Corte suprema con la sentenza n. 5979/2014 pronunciata nello scorso mese si marzo, dopo 17 anni dall’entrata in vigore del citato Decreto Legislativo.
Il taglio degli ermellini è stato netto: chi entra in possesso di un’azienda in frode ai crediti tributari risponde di tutti i debiti tributari del cedente – senza nessuna delle limitazioni previste nei primi tre commi del citato art. 14/472. L’interrogativo è: come può un cessionario che è entrato in possesso di un’azienda, senza un atto notarile di cessione d’azienda, dimostrare la sua buona fede, quindi l’assenza dell’intento fraudis?
A ben vedere, il cessionario ha tutto l’interesse a seguire le procedure indicate nell’art. 2556 cc e nell’art. 14 del D.L.vo n. 472/1997, tenuto anche conto della presunzione legale ex art. 15, co. 1, lett. d) DPR n. 131/1986, nonché del sistema di presunzioni gravi, precise e concordanti che pongono il fisco nella facile condizione di invertire l’onere della prova (artt. 2729 e 2697, comma 2, cc).
In effetti, gli interessi del cessionario potrebbero scontrarsi con quelli del cedente proprio sulla procedura da seguire per il trasferimento del complesso dei beni che costituiscono l’azienda ex art. 2555 cc.
Al cessionario conviene seguire le procedure premiali indicate nei commi 2 e 3 dell’art. 14/472 e successivamente stipulare l’atto notarile di cessione d’azienda ex L. n. 310/93 di riforma del testo dell’art. 2556 cc.
Il cedente, invece, onde evitare il salasso Irpef, sulla plusvalenza (magari accertata con il “superato” art. 2 del DPR 460/1996) non ha interesse a cedere l’azienda nel rispetto di tutte le formalità previste dalla legge. Ciò allo scopo di occultare l’avviamento commerciale, quindi la plusvalenza tassabile.
Appare evidente che la c.d. “vendita spezzatino” dell’azienda, quindi la cessione pezzo per pezzo con emissione di regolare fattura per i singoli beni costituenti la stessa, nel permettere l’occultamento al fisco dell’avviamento commerciale dell’azienda, realizza una sottrazione di base imponibile, quindi un’attività in frode ai crediti tributari.
Pertanto, appare pacifico concludere che la cessione frazionata dei singoli beni aziendali, peraltro espressamente richiamata nel comma 4 della norma in esame, sostanzia una presunzione grave e precisa tale da permettere, da sola, l’inversione dell’onere della prova pro-fisco (artt. 2729 e 2697, com. 2, cc).
Tale conclusione comporta gravi conseguenze a carico del cessionario, il quale non avendo chiesto la preventiva certificazione e non avendo posto in essere un atto che attribuisca data certa al prezzo fissato per l’acquisto dell’azienda stessa, comprensivo dell’eventuale avviamento commerciale, viene considerato soggetto che ha operato in frode ai crediti tributari, quindi solidalmente responsabile di tutti i debiti tributari relativi all’azienda ceduta senza nessuna limitazione e senza il beneficio della preventiva escussione del cedente. In buona sostanza, in tal caso, il cessionario risponde di tutti i debiti tributari, riferibili all’azienda ceduta, ancora giuridicamente in essere alla data dell’occultato trasferimento aziendale.
Che l’occultamento del trasferimento di azienda costituisca comportamento fraudolento appare una facile conclusione, in quanto trattasi di omissione di un atto che tende a sviare l’attività di controllo “sostanziale” dell’ente impositore al fine di evitare l’emersione di materia imponibile (veggasi anche sent. Cassaz. Sez. Unite Penali n. 1235/2011).
In particolare, facendo riferimento alla sentenza n. 5979/2014, va detto che essa ha superato l’apparente distonia tra il primo ed il seconda comma dell’art. 14 in esame, i quali, letti congiuntamente ed isolatamente, avrebbero condotto ad una interpretazione contraddittoria ed insignificante dell’intero art. 14.
All’opposto, la Corte ha operato una sorta di “intervento chirurgico” sull’art. 14 in esame, ove ha detto che il primo comma va letto come norma di diritto sostanziale, insomma quello che fissa la regola . Il terzo ed il secondo vanno letti congiuntamente. Il secondo comma può avere senso solo in funzione del terzo. Quindi nessun possibile contrasto del secondo comma con il primo. Infatti, quest’ultimo ha senso solo se visto in funzione strumentale della certificazione di cui al terzo comma. Il quarto ed il quinto comma definiscono le maggiori sanzioni per l’acquirente che non rispetta le procedure fissate dalla legge per la cessione d’azienda (art. 2556 cc).
Quindi, cari colleghi, occhio ai nostri clienti cessionari in occasione di facili cessioni d’azienda.