
Analisi degli sviluppi giurisprudenziali sulla ineludibile necessità del contraddittorio endoprocedimentale ai fini delle strategie difensive tributarie, quale applicazione tipica del principio delle strumentalità delle forme del diritto amministrativo italiano, con particolare riferimento alla sentenza della Corte di cassazione SS. UU. N. 24823 del 09/12/2015.
Com’è noto, la materia del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, quindi la problematica del previo coinvolgimento del contribuente nel corso dell’attività preparatoria e istruttoria dell’amministrazione finanziaria, tesa all’assunzione e poi alla notifica dell’avviso di accertamento, ha interessato molto la nostra giurisprudenza nomofilattica, in particolare negli anni 2013 – 2015.
La sua analisi è foriera di spunti difensivi contro gli atti assunti dall’Agenzia delle Entrate, e perchè no, anche dai Comuni, considerata l’espansione della finanza locale negli ultimi 25 anni di vita pubblica italiana.
La materia si inquadra nel più ampio contesto delle regole di diritto amministrativo concernenti la strumentalità delle forme ai fini della validità degli atti assunti dalle pubbliche amministrazioni, tenendo nella giusta considerazione le ineludibili caratteristiche del procedimento amministrativo – tributario, sia per ciò che attiene alle imposte tipicamente “domestiche”, quali l’IRPEF, IRES, Registro, ecc., che alle imposte di diretta derivazione eurounitaria quali l’IVA.
In sostanza l’unicità dell’avviso di accertamento, emanato dall’Agenzia delle Entrate, sia per le imposte dirette che per l’Iva, potrebbe subire un trattamento giudiziale – tributario differenziato per le due distinte categorie di imposte a causa della diversità delle fonti regolatrici delle medesime (eurounitarie per l’IVA e nazionali per le altre).
Quindi, lo strumento amministrativo tributario sostanziato dall’accertamento unificato verrebbe immolato sul banco giudiziale, con la sentenza della Commissione tributaria, con divaricazione di risultati ai fini iva ed ai fini della definizione del reddito imponibile, in presenza del “fatto viziante” dato dal mancato coinvolgimento del contribuente nell’attività endoprovvedimentale dell’Agenzia delle Entrate. Cioè, l’avviso viziato dalla citata carenza potrebbe superare la prova ai fini di una imposta, ma non di un’altra. Tale conclusione scaturisce anche dalla lettura dei principi di diritto enunciati con la sentenza della Corte di Cassaz. SS. UU. n, 24823/2015 del corrente mese di dicembre che, in linea con la giurisprudenza delle sezioni semplici del corrente anno 2015, ed in evidente difformità con quella degli anni 2013 e 2014, sembra aver dato un nuovo assetto alla subjecta materia.
Sul punto devesi anche dare atto della “parallela”, soft inversione di tendenza in materia di strumentalità delle forme, posta in essere dalla Corte di Giustizia Europea che enfatizzando il principio con la Soprupe’ , lo ha “smussato” con le successive Kamino e Sobau. La nostra Corte regolatrice ha quindi subito “pari pari” l’inversione di rotta, cioè l’overruling giurispudenziale della Cu.Ge, in armonia con i vincoli che legano i nostri Giudici alle decisioni degli Organi di giustizia sovranazionali.
La necessità del contraddittorio endoprovvedimentale in materia tributaria, a mio parere, trova una base di riferimento nomofillatica lontana nel tempo, e precisamente nella sentenza del 2007 (Cass. SS. UU. n. 16412 Giud rel. Dr Botta Raffaele) con cui il procedimento amministrativo-tributario viene “letto” in una chiave amministrativistica generale, quindi fortemente garantista nei confronti del contribuente, nel senso che se viene “saltata” anche una sola fase dell’iter amministrativo predisposto dalla legge, consegue la nullità dell’atto finale recante la pretesa nei confronti del contribuente.
Non è un caso far notare che detta sentenza, peraltro espressamente richiamata dalla triade del 2008 (14814 – 14816 Giud. Rel. Antonio Merone) in materia di litisconsorzio necessario, oggi legge processusale, abbia avuto lo stesso giudice relatore, Dott. Raffaele Botta, delle sentenze gemelle del 2014 (Cass. SS. UU. n. 19667 e 19668), nonchè sentenza Cassaz. n. 26635/2009.
Ma in cosa consiste il principio della strumentalità delle forme ? un atto ammistrativo è nullo qualora l’interessato, non sentito nel corso del procedimento, dimostra che l’atto finale avrebbe assunto diversi risultati se egli fosse stato tempestivamente coinvolto nell’attività preparatoria, quindi istruttoria provvedimentale.
Ecco il significato di “strumentalità” : l’interessato è onerato, ex art. 2697, comma 1, c.c., della dimostrazione della diversità dei risultati. Quindi, a nulla rilevando la mancanza in sè del suo coinvolgimento nell’istruttoria, ciò che rileva è la dimostrazione della diversità dei risultati, indi il carattere esclusivamente strumentale rispetto al contenuto dispositivo dell’atto amministrativo finale, capace di incidere nell’altrui sfera giuridica a seguito delle attività tipicamente attributive di afficacia degli atti amministrativi, quali la notifica al destinatario (oggi norma di diritto sostanziale ex art. 21-octies, legge n. 241/1990).
Trattasi di un principio di diritto sostanziale, sia pure attuato attraverso una norma incidente su aspetti tipicamente procedurali, in quanto la sua concreta applicazione incide direttamente sui diritti dei soggetti interessati, quale ad es. la nullità degli effetti di un atto amministrativo.
In campo tributario esso è noto come contraddittorio endoprocedimentale.
Secondo la giurisprudenza sviluppatasi negli ultimi anni il coinvolgimento del contribuente sarebbe un obbligo della P.A. impositrice che scaturisce sia dalla normativa eurounitaria che da quella nazionale, quale immanente principio ordinamentale, incardinato nell’art. 97 della Costituzione, quindi fase necessaria del procedimento necessariamente posta a garanzia della imparzialità, correttezza ed equità dell’imposizone fiscale come sancita dall’art. 53 della Costituzione. A tanto conducono le sentenze della Corte di Cassazione citate : 26635/2009, 18184/2013, 19667 e 19668/2014. In sostanza, la fase del contraddittorio, costituendo un passaggio necessario del procedimendo, rende l’atto finale annullabile qualora essa non sia regolarmente consumata. La conclusione è assolutamente armonica con la necessaria scansione provvedimentale di cui alla “sentenza madre” n. 16412/2007.
L’indirizzo delle Sezioni Unite sembra aver subito una definitiva inversione di rotta con l’attuale sentenza n. 24823/2015. Con significativi arresti la Corte ha precisato che ove non è espressamente previsto l’obbligo del previo coinvolgimento del contribuente, la carenza del contraddittorio non può comportare nessuna nullità dell’atto finale di accertamento, in quanto spetta al Legislatore, e non all’interpetre, prevedere espressamente nelle leggi d’imposta la necessità del previo coinvolgimento del contribuente. Inoltre, la Corte non ha mancato di fissare gli opportuni distinguo tra l’applicazione del principio all’IVA, quale imposta armonizzata in ambito europeo, rispetto alle imposte “domestiche”, dirette ed indirette, quali Irpef, Ires, Irap, Registro, ecc..
In sostanza, la sentenza in commento ha posto in evidenza che solo nell’Ordinamento Eurounitario, e non in quello nazionale, è immanente il principio della necessità del contraddittorio endoprocedimantale, sia pure nei limiti del principio della strumentalità delle forme.
Conseguentemente solo per l’IVA, quale imposta tipicamente eurounitaria, si applicano i principi della legislazione europea, nonchè quelli ricavabili dalle sentenze della Cu.Ge., secondo cui, in assenza del contraddittorio endoprocedimentale il contribuente, può chiedere ed ottenere l’annullamento dell’atto, ove in sede giudiziale, riesce a dimostrare significativamente che, con il suo previo coinvolgimemento, l’amministrazione sarebbe approdata a diversi risultati e che concretamente a causa di tale mancanza non è stato posto nella condizione di esercitare i propri diritti di difesa, prima ancora che l’atto fosse emanato, per cui è stato emanato un atto illegittimo in quanto lesivo della propria sfera giuridica.
Tutto ciò, in assenza di specifiche norne della legislazione italiana, fissate per le singole imposte, non si verifica per le imposte dirette, in quanto non soggette alla normativa eurounitaria.
Quali le conseguenze applicative di questa evidente divaricazione all’interno dell’istituto dell’unicità dell’atto di accertamento ?? Cioè, da una parte si assiste allo sforzo semplificatorio di regolare la materia tributaria con un atto unico valido per tutte le imposte, dall’altro vengono evidenziate differenze struttuali dei diversi settori impositivi cui incide l’avviso di accertamento unificato.
Quali gli spunti difensivi del contribuente che, ignaro dell’attività accertativa nei suoi confronti, si vede recapitare l’avviso di accertamento ai fini Iva e redditi ?
In quali termini, il contribuente potrà eccepire la nullità di un atto, sia pure ai soli fini IVA, che, saltando la fase del coinvolgimento endoprovvedimentale, giunge a risultati diversi da quelli ottenibili con il suo intervento ? Cioè, basta dimostrare una sostanziale diversità dei risultati per ottenere l’annullamento dell’atto per tutta la maggiore Iva accertata o semplicemente la Commissione Tributaria deve ridefinire la pretesa impositiva IVA, alla luce delle prove acquisite in giudizio, facendo leva sul carattere impugnatorio di merito del processo tributario ?
Si comprende bene che, in questa seconda ipotesi, nulla è variato ripetto all’assetto ante quò del processo tributario.
All’opposto, si noti come le conclusioni della Sentenza n. 24823/2015 parlino di INVALIDITA’ dell’ATTO. Sembra che si voglia dire che l’intero atto deve essere caducato, sia pure solo per l’IVA, in caso di violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, così superando il limite posto dal carattere di impugnazione-merito di cui all’art. 7 del D. Lvo n. 546/1992.