
Il diritto di abitazione, istituito dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, è un DIRITTO REALE soggetto a tassazione in capo al beneficiario. Esso spetta al coniuge superstite, allorquando, a seguito della morte del de cuius, continua ad abitare nella casa di esclusiva proprietà di quest’ultimo o comune di entrambi i coniugi. Trattasi, quindi, di un diritto che insorge con il suo concreto esercizio.
Esso ha rilievo fiscale in quanto, trattandosi di diritto reale, sostanzia il possesso del bene a favore del beneficiario e, quindi, la qualificazione di quest’ultimo quale soggetto passivo d’imposta, in collegamento ai balzelli che trovano la fonte impositiva nel bene (casa di abitazione) oggetto del diritto in discorso.
In sostanza si realizza la sequenza : diritto di abitazione – possesso della casa di abitazione – soggettività passiva tributaria in capo al possessore.
E’ appena il caso di ricordare che nel sistema tributario italiano il vincolo primario che lega il soggetto passivo d’imposta ai beni ed ai redditi, ai fini della determinazione delle basi imponibili, nonché della individuazione dei soggetti passivi d’imposta, è IL POSSESSO dei beni e dei redditi (art. 1 Dpr n. 917/86).
Di talché, la piena e totale posizione soggettiva passiva del coniuge superstite per le imposte connesse alla casa di abitazione familiare, esclude la medesima soggettività nei confronti degli altri eredi.
La presente analisi si pone l’obiettivo di inquadrare il diritto reale di cui all’art. 540, comma 2, cc, individuando i casi in cui esso opera e quello nei quali rimane precluso, tenendo conto che la norma è inserita nel corpus giuridico delle disposizioni civilistiche regolanti la c. d. successione necessaria e non è espressamente richiamata dalle norme codicistiche sulla c.d. successione legittima (art. 565 e segg. cc).
Inoltre, cosa rispondere alla domanda : il D. di A. ha natura ereditaria o non ??
Cioè, il coniuge del de cuius fortemente indebitato con Equitalia, e che, pertanto, ha rinunciato all’eredità, può continuare ad abitare nella casa familiare di esclusiva proprietà del de cuius (o comune solo con il superstite) senza rendersi erede puro e semplice ?? Quindi, può continuare ad abitare la casa senza addossarsi tutti i debiti del de cuius, cosa che ha voluto evitare proprio con la rinuncia all’eredità??
Trattasi di varie questioni, spiccatamente civilistiche, che interessano la professione del commercialista, prima ancora di quella dell’avvocato !!
Da ultimo la sentenza della Corte di Cassazione n. 1588/2016 lo ha qualificato come diritto estraneo ai diritti ereditari, sulla base della sintesi nomofilattica emersa dalla sentenza della Suprema Corte, SS UU. n. 4847/2013. Cioè, si tratterebbe di un legato ex lege, indipendente dalla volontà del de cuius, quindi di un “onere ereditario” che non incide sulla nuda proprietà del bene (casa di abitazione familiare) e che spetta non a titolo di successione ereditaria, ma quale attribuzione legale (ex art. 540, co. 2, cc).
La precedente giurisprudenza, pur sforzandosi di attribuire al diritto un inquadramento univoco e generale, applicabile in tutti i casi di successione ereditaria, rinuncia, accettazione con beneficio d’inventario, ecc., non vi riusciva a causa della contestualizzazione della norma nell’ambito degli articoli che regolavano la successione necessaria, quindi i diritti dei leggittimari, nei casi di successioni testamentarie.
Talvolta, la norma veniva estesa alle successioni legittime, (c. d. ab intestato ex art. 565 e segg. cc) grazie al coordinamento ricavato dall’art. 553 del cc ed all’applicazione analogica alla fattispecie del coniuge putativo.
In altre parole, si cercava di concludere per l’applicazione dell’art. 540, comma 2, cc alle successioni legittime, dicendo che l’art. 553 prevedeva la riduzione dei diritti degli altri successibili a favore del legittimari, includendo il diritto tra quelli spettanti al coniuge quale legittimario, oppure si diceva, non è possibile che il legislatore abbia voluto estendere il diritto sulla casa di abitazione al coniuge putativo, quindi coniuge di un matrimonio dichiarato nullo, e non al coniuge legittimo.
Tali accostamenti soffrivano di punti di debolezza sistemica, tenendo conto che esistono solo due modelli successori : testamentaria e legittima, invece quella necessaria altro non è che un correttivo alla testamentaria (art. 457 cc).
Così, le SS UU del 2013 – sulla base di un’analisi storico sociologica in cui è stata promulgata la legge n. 151/1975, quindi introdotto l’art. 540 comma 2 cc, sono venute alla conclusione che trattasi di un legato ex lege, che va defalcato dalla massa ereditaria, quindi non si tratta di un diritto ereditario.
Tale conclusione porta alla opponibilità ad Equitalia ed altri creditori del de cuius, i quali, facendo leva sull’uso della casa di abitazione da parte del coniuge superstite, quale atto di accettazione pura e semplice dell’eredità, pretenderebbero di attaccare l’intero patrimonio del coniuge superstite.
E’ quindi evidente che le conclusioni conducono al riconoscimento del legato (uso della casa di abitazione e dei mobili che la corredano) sia nel caso di successione testamentaria che legittima.
Pertanto, nel caso di successione legittima le quote vanno eseguite dopo aver sottratto il diritto, assimilabile all’usufrutto, sulla casa di abitazione, cioè considerando tale casa solo per il valore della nuda proprietà, parametrato in base all’età anagrafica del coniuge superstite.
Le regole tipiche della “successione necessaria”, in buona sostanza dei diritti dei legittimari, non richiedono diretta applicazione nelle successioni legittime. In altre parole, il legislatore, nel definire le norme della successione legittima, già ha tenuto conto di quelle “minime necessarie” che sostanziano la successione necessaria. Quindi, si potrebbe concludere che le regole della successione necessaria sono “in re ipsa” trasfuse in quelle della successione legittima, lasciando fuori dal gioco delle attribuzioni ereditarie il diritto di abitazione.
Nei casi di successione testamentaria trova diretta applicazione il secondo periodo del comma 2 dell’art. 540 cc. Infatti, ove il testatore avesse “violato” il diritto in parola, attribuendo al coniuge una quota inferiore a quella spettantegli, data dalla riserva a favore del coniuge con l’aggiunta del diritto di abitazione, questo deve essere defalcato dalla c. d. disponibile. Se questa è insufficiente a coprire i diritti del coniuge, deve essere attribuito prima alla quota di riserva del coniuge medesimo, e poi, eventualmente, a quella dei figli. Come si nota, il legislatore, nel concorso tra coniuge e figli, ha chiaramente mostrato di voler intaccare prima la riserva del coniuge e poi quella dei figli. Scelta che sembrerebbe, paventare un “discrimen” tra la successione legittima e quella testamentaria ai fini del diritto in parola. Cioè, perché tale precisazione non è stata fatta nelle norme ex artt. 565 e segg cc sulla successione legittima ?? Perché tale precisazione non può avere nessun senso in un modello di successione ove il legislatore stesso fissa tutte le regole del gioco, ritenendo in nuce che tal diritto non entra proprio in gioco, poiché già attribuito al coniuge superstite a titolo di legato ex lege. Nella testamentaria se ne è dovuto necessariamente preoccupare proprio per regolare i casi in cui esso fosse stato violato dal de cuius.
Work in progress