
Si avvicina il momento in cui insorge l’obbligo di emissione della fattura per le prestazioni di servizi.
Le riflessioni che seguono fanno riferimento ad una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9064/2021) la quale ha preso le distanze dalla precedente sentenza n. 1468/2020, secondo cui le prestazioni di servizi vanno fatturate all’atto del pagamento. In sostanza, secondo quest’ultima, prima dell’avvenuto pagamento, il soggetto obbligato ha solo la facoltà e non l’obbligo, di emettere fattura e, conseguentemente, versare l’Iva all’Erario dello Stato.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 8059/2016, chiamate a rispondere su un aspetto specifico, cioè se vi sia piena sovrapponibilità nel nostro sistema IVA tra momento di effettuazione della prestazione di servizio e la sua esigibilità, quindi se il momento del pagamento possa coincidere con il momento dell’imponibilità, hanno scisso i due momenti
concettuali dell’insorgenza dell’obbligazione IVA (momento in cui nasce il debito IVA), precisando che essa sorge con la ultimazione della prestazione del servizio, rispetto al momento della suaesigibilità (termine di collegamento per la determinazione della scadenza del versamento
dell’imposta all’Erario).
Sembrerebbe che le SS. UU. ci abbiano “autorizzato” a pensare che il debito sorge con l’ultimazione della prestazione. Il debito diviene esigibile (scade), invece, allorché la prestazione sia anche pagata dal committente al prestatore. Di talché, l’Agenzia può pretendere il pagamento dell’IVA dal prestatore solo in collegamento all’evento dell’incasso.
Purtroppo, questa soluzione non è affatto pacifica. Le norme domestiche effettivamente sono mal scritte per cui si prestano a diverse interpretazioni.
In effetti la norma italiana (art. 6, comma 3 del DPR n. 633/1972) dice che:
- Le prestazioni si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo.
- Quelle indicate nell’art. 3,comma 3, si considerano effettuate al momento in cui sono rese.
Il successivo comma 4) dispone che il contribuente può anticipare il momento impositivo (momento in cui sorge obbligo di versare l’IVA all’Erario) con l’emissione della fattura prima che si siano verificati gli eventi per cui sorge ex lege. Inoltre, detto obbligo (pagamento dell’Iva all’Erario con emissione della fattura) sorge ex se per effetto del pagamento del corrispettivo.
Al fine di comprendere il significato di queste norme, a tratti scritte in modo contraddittorio, occorre leggerle alla luce degli artt. 62 e segg. della Direttiva IVA UE n. 112/2006.
Questi, pur confermando la scissione concettuale tra momento generatore e momento di esigibilità (art. 62/112), conducono ad una interpretazione “di massima” per cui i due momenti si sovrappongono, nel senso che l’esigibilità è diretta scaturigine dell’imponibilità (insorgenza del momento generatore), di talché, a seguito dell’ultimazione della prestazione, scattano gli obblighi di fatturazione, registrazione e versamento.
Si riportano le norme U.E. della Direttiva n. 112/2006 rilevanti ai fini di questa analisi.
Articolo 62. Definizione di “fatto generatore dell’imposta” ed “esigibilità dell’imposta”.
Ai fini della presente direttiva si intende per:
1) “fatto generatore dell’imposta” il fatto per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta;
2) “esigibilità dell’imposta” il diritto che l’Erario può far valere a norma di legge, a partire da un dato momento, presso il debitore per il pagamento dell’imposta, anche se il pagamento può
essere differito.
Art. 63: Esigibilità dell’imposta.
Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi.
Art. 65. Esigibilità dell’imposta al momento dell’incasso.
In caso di pagamento di acconti anteriore alla cessione di beni o alla prestazione di servizi, l’imposta diventa esigibile al momento dell’incasso, a concorrenza dell’importo incassato.
Art. 66. Momenti in cui l’imposta diventa esigibile.
In deroga agli articoli 63, 64 e 65, gli Stati membri possono stabilire che, per talune operazioni o per talune categorie di soggetti passivi, l’imposta diventi esigibile in uno dei momenti seguenti:
a) non oltre il momento dell’emissione della fattura;
b) non oltre il momento dell’incasso del prezzo;
In effetti, la problematica in discorso implica il discernimento analitico del significato dei termini utilizzati in materia, sia dal Legislatore sovraordinato, che dal Legislatore domestico mediante il loro recepimento nel diritto positivo italiano. Al riguardo, si ritiene che per: 1) “Fatto generatore”, si debba intendere l’insieme degli elementi che fanno sorgere il rapporto giuridico d’imposta ove viene ben individuato il creditore, il debitore, l’an ed il quantum debeatur, 2)
Effettuazione o Imponibilità dell’operazione. Il momento in cui tutto quanto previsto al punto 1) deve essere formalizzato in atti aventi rilevanza tributaria, quindi riconoscibile dal sistema giuridico di appartenenza. Dalla lettura delle norme U.E. si capisce che questi due momenti (Insorgenza del fatto generatore e Effettuazione/imponibilità) sono, nella generalità dei casi,
temporalmente sovrapposti.
Nella pratica fiscale italiana l’imponibilità corrisponde al momento della fatturazione. 3) Esigibilità. Conformemente ai principi del nostro ordinamento civile, l’esigibilità altro non è che il momento di scadenza dell’obbligazione oggetto del rapporto giuridico. Trattasi di un momento strettamente collegato alla imponibilità, quindi alla data della fatturazione. Nella pratica fiscale italiana, per le liquidazioni mensili, il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento delle operazioni imponibili oppure, per le liquidazioni trimestrali, il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento. Dalla lettura delle regole sovranazionali emerge che i tre momenti sono intesi in modo sostanzialmente simultaneo, tranne il caso in cui la fatturazione o il pagamento siano eseguiti prima che l’operazione sia posta in essere (ultimata) nella sua rilevanza materiale e giuridica.
Ritorniamo ora alle norme domestiche.
All’opposto, la conformazione letterale dell’art. 6, comma 3, della nostra “legge Iva” lascia intendere che la “regola generale” è il pagamento del corrispettivo, in quanto espressamente riportata nel primo periodo, e che l’ulteriore regola, quella del momento in cui la prestazione è resa, vale solo per le “altre” prestazioni, cioè per quelle di cui al comma 3, dell’art. 3 del decreto Iva.
Ecco, donde nasce la criticità interpretativa. Il secondo periodo dell’art. 6, comma 3, al fine di specificare l’imponibilità ai fini iva delle operazioni di autoconsumo e gratuite, nonché quelle estranee all’esercizio dell’impresa, anche al ricorrere di ulteriori presupposti, sostanzialmente, abbraccia tutte le fattispecie di prestazioni di servizi, infatti esso riprende integralmente le operazioni dei primi due commi dell’art. 3 del DPR n. 633/1972.
Pertanto viene da chiedersi, a quali specifiche prestazioni di servizi si riferisce il primo periodo dell’art. 6, comma 3, che non siano anche comprese nel secondo periodo. In altre parole, nell’ambito delle sole norme domestiche, si deve capire se il rinvio che il comma 3, secondo periodo, dell’art. 6, fa al comma 3 dell’art. 3, deve essere inteso come riferito “a tutte le operazioni in esso contemplate” oppure “solo a quelle trattate in modo specifico”. Cioè, se sia riferito alla generalità delle prestazioni di servizio, già indicate nei primi due commi oppure solo a quelle come autoconsumo, gratuite, ecc.
In effetti, l’interpretazione letterale e sistematica conduce a questa seconda ipotesi in quanto le operazioni del primo periodo del comma 3 dell’art. 3 (autoconsumo, ecc.) sono operazioni prive di manifestazione finanziaria, quindi insuscettibili del pagamento, per cui in via eccezionale, ai fini del momento impositivo, non potendosi fare leva sul pagamento, come previsto dal primo periodo del terzo comma dell’art. 6, comma 3, bisogna fare riferimento al momento materiale della ultimazione della prestazione.
Per completezza, si riporta il comma 3 dell’art. 3 : “Le prestazioni indicate nei commi primo e secondo, sempre che l’imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione sia detraibile, costituiscono per ogni operazione di valore superiore ad euro cinquanta, prestazione di servizi anche se effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa, ad esclusione delle somministrazioni nelle mense aziendali e delle prestazioni di trasporto, didattiche, educative e ricreative, di assistenza sociale e sanitaria a favore del personale dipendente, nonché delle operazioni di divulgazione pubblicitaria svolte a beneficio delle attività istituzionali di enti del Terzo settore di natura non commerciale, e delle diffusioni di messaggi, rappresentazioni, immagini o comunicazioni di pubblico interesse richieste o patrocinate dallo Stato o da enti pubblici. Le
assegnazioni indicate al n. 6) dell’art. 2 sono considerate prestazioni di servizi quando hanno per oggetto cessioni, concessioni o licenze di cui ai nn. 1), 2) e 5) del comma precedente. Le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante ed il mandatario. (5)”
Si riportano anche i commi 3 e 4 dell’art. 6: “(3) Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Quelle indicate nell’articolo 3, terzo comma, primo periodo, si considerano effettuate al momento in cui sono rese, ovvero, se di carattere periodico o continuativo, nel mese successivo a quello in cui sono rese. (4) Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento. (6)”
Si noti come il sopra riportato comma 3 art. 3, nel richiamare tutte le operazioni già indicate nei commi 1 e 2, specifica che si considerano prestazioni di servizi, se di importo unitario superiore ad euro 50,00, sempreché l’iva assolta sugli acquisti sia detraibile, perché inerente,
ANCHE se effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore (autoconsumo), ovvero per finalità estranee all’esercizio dell’impresa, AD ESCLUSIONE.
Effettivamente, l’art. 6, comma 3, secondo periodo, nel far riferimento ad operazioni rese, sembrerebbe riferirsi alle sole operazioni di autoconsumo o connesse a finalità estranee all’esercizio dell’impresa e quindi, prive del pagamento. A questo punto, avuto riguardo alla precisazione inerente alla scissione concettuale tra momento imponibile ed esigibilità recata dalle Sezioni Unite del 2016, e considerata la più consona interpretazione sistematico-letterale dell’art. 6, comma 3, effettivamente si potrebbe concludere che le prestazioni di servizi in genere siano imponibili all’atto del pagamento, mentre quelle inerenti all’autoconsumo, gratuite ecc. siano imponibili all’atto in cui sono rese in quanto naturalmente prive dell’evento
del pagamento. Questa conclusione si affievolisce ove si dia specifica considerazione al seguito del secondo periodo del comma 3, art. 6: “[…], ovvero, se di carattere periodico o continuativo, nel mese successivo a quello in cui sono rese.” Appare difficile ritenere che la norma continui a
riferirsi alle operazioni di autoconsumo, gratuite, ecc.
Ma, v’è di più. Il successivo comma 4, nel considerare l’atto del pagamento, come momento entro il quale la fattura deve essere necessariamente emessa, quindi nel riconsiderare l’evento come momento anticipatorio dell’imponibilità, lascia presagire che altri eventi potrebbero rilevare, ai fini dell’imponibilità, prima del pagamento.
A parte questi aspetti, l’interpretazione dell’art.6, comma 3, come sopra riportata, avversata dall’Agenzia delle Entrate, è confutata dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, valorizzando alcuni passaggi della sentenza del 2016, afferma che: Punto 2.2 Sent. 9064/2021 “La norma nazionale deve quindi essere necessariamente intesa nel senso che la finta identificazione con il pagamento del corrispettivo (“le prestazioni di servizio si considerano effettuate…”) investe il compimento della prestazione con esclusivo riferimento alla sua rilevanza ai fini della mera esigibilità dell’imposta: ove ne risultassero coinvolte anche l’imponibilità e, quindi, l’insorgenza dell’obbligazione tributaria, la disposizione sarebbe incompatibile con il diritto unionale.” Per cui conclude al punto 5.3) : “In materia di iva, il fatto generatore dell’obbligazione tributaria, che comporta l’obbligo di fatturazione, in caso di prestazione di servizi è costituito dalla materiale esecuzione della prestazione, laddove il pagamento del corrispettivo identifica esclusivamente il momento di esigibilità dell’imposta, ossia quello di riscossione, nonché’, in relazione a quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 4, il termine per l’adempimento dell’obbligo di emettere la fattura”.
Così, espressamente confutando l’opposto orientamento, afferma: “3.2.- Va allora ribadito che l’orientamento (espresso di recente da Cass. 23 gennaio 2020, n. 1468) secondo il quale le prestazioni di servizi si considerano effettuate soltanto all’atto del relativo pagamento, cosicché’ prima di tale momento non sussiste alcun obbligo, ma solo la facoltà di emettere fattura, non è allineato alle sezioni unite e alla giurisprudenza unionale (lo rimarcano, da ultimo, Cass. 19 novembre 2020, n. 26319 e 24 novembre 2020, n. 26650, punto 3.5)”
D’altronde, le SS UU del 2016 hanno apprezzato il comma 3 dell’art. 6 come norma che si esprime esclusivamente sull’esigibilità dell’imposta ma non sul fatto imponibile di essa, cosicché l’interprete e l’operatore economico devono necessariamente far riferimento alla normativa sovraordinata eurounitaria per ciò che attiene alla definizione del momento generatore, quindi agli eventi che danno vita all’imponibilità ai fini iva, al fine di comprendere il termine entro il quale deve essere emessa fattura. Ed è proprio questa precisazione del Massimo Consesso nomofilattico che lascia dire alla Sezione semplice che l’atto di pagamento va inteso principalmente come atto finale entro il quale la fattura deve essere emessa e l’iva versata all’Erario.
Da questa prospettazione giurisprudenziale emerge, quindi, che il dato normativo domestico non è in grado da solo per dare risposte univoche alle questioni in campo, per cui il momento del pagamento della prestazione di servizi non può costituire la regola principale per determinare l’insorgenza dell’obbligazione tributaria in discorso, quindi la fatturazione delle operazioni, ecc.
Ma allora, come spiegare che il nostro Legislatore fa riferimento, in primis, all’atto del pagamento del corrispettivo?
Avuto riguardo che Esso è, in sé, un Legislatore speciale (perché tributario), finalizzato allo scopo di tutelare le entrate dello Stato, non è difficile comprendere che abbia voluto indicare come primo fatto impositivo il pagamento per enunciare una regola di immediata protezione delle risorse pubbliche, quasi per dire che, in ogni caso, anche nelle più eccezionali circostanze, una volta avvenuto il pagamento del corrispettivo, l’Iva deve essere versata allo Stato. Non c’è ragione che tenga.
In sostanza la “prima regola”, non necessariamente principale, si traduce in una regola di protezione che pone un limite esterno oltre il quale nulla è consentito. Esso traccia un perimetro all’interno del quale operano, principalmente, le regole scritte nelle Direttive eurounitarie, cosicché essa tende ad integrare la concreta applicazione della normativa interna alla luce delle regole sovraordinate ex art. 10, 11 e 117, co. 1, della Costituzione.
In definitiva, la regola principale che deve orientare il nostro comportamento in punto di emissione della fattura è l’ultimazione della prestazione, ove possibile.
A questo punto viene da chiedersi: cosa significa ultimazione della prestazione? Si tratta di una valenza materiale oppure anche giuridica? R: È evidente che, accanto alla ultimazione materiale, occorre anche quella giuridica, cioè la riconoscibilità legale che quella prestazione è conclusa per cui è sorta l’obbligazione civilistica di una parte contrattuale (committente) nei confronti dell’altra (prestatore) per il pagamento del corrispettivo spettante (pattuito, definito giudizialmente, ecc.).
Al fine di dare corpo a queste considerazioni, potremmo tentarne l’applicazione alle domande che seguono.
- Qual è il termine per la fatturazione al condominio da parte dell’impresa di pulizie?
R: Trattandosi di prestazioni di carattere periodico e continuativo, la cui cadenza mensile è in ipotesi contrattualmente prevista, le fatture vanno emesse nel mese successivo a quello in cui sono rese (art. 6, comma 3, seconda periodo). Lo stesso vale anche per la fattura del commercialista ove il contratto professionale espressamente preveda una determinata periodicità della prestazione;
- Qual è il termine per la fatturazione dell’appaltatore?
R.: Nel contratto di appalto la prestazione si intende resa nel momento in cui si perfeziona l’obbligazione civilistica del pagamento del corrispettivo, quindi a seguito dell’accettazione dell’opera da parte del soggetto appaltante. Nel caso in cui l’appalto è stato convenzionalmente suddiviso in più SAL, al termine di ognuno di essi sorge l’obbligo di fatturazione per la quota di appalto oggetto di accettazione e consegna dell’opera da parte dei contraenti (art. 63 Direttiva 112/2006).
- Quando emette fattura l’avvocato che ha assistito il suo cliente fino alla conclusione dell’attività processuale, e quindi ha ultimato la prestazione?
R.: In assenza degli elementi di liquidità e certezza giuridica dell’obbligazione, la circostanza dell’ultimazione materiale della prestazione non è capace ex sé di far insorgere l’obbligazione. L’evento della ultimazione è all’evidenza carente delle sue naturali qualificazioni giuridiche. Non ha senso dire che una obbligazione è esigibile se, prim’ancora, non è certa e liquida. Infatti, l’avvocato viene a conoscenza del suo credito nei confronti del proprio cliente, o della controparte soccombente, solamente a seguito del deposito della sentenza che dispone anche per le spese di lite. Si tratta di un caso in cui il momento del pagamento, differito rispetto al momento materiale dell’ultimazione della prestazione, costituisce il parametro ultimo per determinare il momento di insorgenza dell’obbligazione iva a carico del professionista (art. 6, comma 3 Dpr 633 e art. 66 Direttiva);
- Quando deve emettere fattura l’architetto per la redazione di un progetto?
Risposta A: Nel momento in cui ha terminato il suo lavoro, pacificamente accettato dal committente;
Risposta B: Se dovesse insorgere una contestazione tra committente e professionista, anche per effetto di rilievi delle Autorità amministrative, ecc., l’obbligazione è priva di certezza giuridica e liquidità per cui la sua “ultimazione” è rinviata ad accadimenti futuri, ad es. decisione giudiziale che fissa il diritto del professionista ad un certo onorario (Comma 6, art. 6/633; Art. 66 Direttiva);
- Se detto architetto dovesse cessare la partita Iva, è costretto ad emettere previamente la fattura?
R. Nel caso sub A) Sì (cfr. art. 6, comma 3, secondo periodo; Art. 62 Direttiva 112).
Non nel caso B). Ciò in quanto, all’atto della cessazione dell’attività il suo credito non è né certo, né liquido e tantomeno esigibile. Quindi, facendo leva sulla scissione concettuale (SS UU 8059/2016) tra momento generatore della prestazione, posta in essere nell’esercizio di attività professionale, quindi soggetta ad Iva, e momento dell’esigibilità, a mio parere, difformemente da quanto spiegato dall’Agenzia delle Entrate con risposta ad interpello n. 34/2019, in merito agli obblighi degli eredi del contribuente per le fatture successivamente alla morte del de cui, ritengo che l’architetto possa cessare la partita iva, quale numero identificativo per l’adempimento degli obblighi Iva, per poi chiederne uno nuovo, quando il suo credito sarà divenuto certo ed esigibile e quindi adempiere agli obblighi di fatturazione, dichiarativi ed al pagamento dell’Iva (Art. 66 Direttiva, Art. 6, comma 3, primo periodo);
- L’avvocato può cessare la partita IVA prima di incassare tutte le fatture per prestazioni svolte e non ancora definite in attesa delle sentenze che dispongano anche per le spese di lite?
R.: Si. Difformemente da quanto sosterrebbe l’Agenzia delle entrate, direi proprio di Sì. Ovviamente, la partita iva può essere cessata dopo che sono stati liquidati eventuali cespiti inerenti all’attività professionale (cfr. art. 35, comma 4 DPR n. 633/1972, ove per azienda si deve intendere compreso anche il complesso dei beni costituenti lo studio professionale). Quando le sentenze saranno depositate, l’Avvocato dovrà emettere fattura e pagare l’Iva, avendo cura di chiedere un nuovo numero di partita iva, con il quale provvederà anche agli adempimenti dichiarativi. In fondo, il numero di partita Iva altro non è che il numero identificativo ai fini iva che univocamente si abbina al codice fiscale e quindi al soggetto passivo d’imposta.