
Le sentenze di lavoro relative al personale scolastico dello Stato, utilizzato per molti anni con contratti a termine, riconoscono principalmente tre fattispecie di risarcimenti del danno, tutte annoverabili nell’art. 1223 cc..
Considerata l’attualità della materia, si propongono le seguenti considerazioni.
DIFFERENZE RETRIBUTIVE PRE RUOLO
Il caso più noto è dato dalle differenze retributive dovute alla reiterazione per lungo tempo di contratti a tempo determinato, considerati in sede giudiziale, ai soli fini retributivi, come parte di un unico contratto a tempo indeterminato in applicazione della clausola antidiscriminatoria dell’Accordo sindacale allegato alla Direttive UE n. 70/1999. La “riqualificazione giudiziale” del rapporto che l’A.S. dello Stato ha intrattenuto con il dipendente implica il riconoscimento delle retribuzioni delle fasce stipendiali superiori con insorgenza di crediti retributivi, non soddisfatti e per ciò stesso qualificabili come danni risarcitori da inadempimento contrattuale (c.d. danno emergente). Al fine di comprendere i criteri di tassazione fiscale ed accreditamento contributivo occorre indagare la fonte del danno. Atteso che si tratta di crediti retributivi maturati nei periodi pre-ruolo per effetto dell’anzianità di servizio, questi vanno trattati come RETRIBUZIONI ARRETRATE, quindi soggette a
contribuzione INPS, tassazione IRPEF separata ex art. 17, nonché art. 49 e art. 6, comma 1, TUIR.
Trattandosi di dipendenti pubblici, il pagamento avviene con il sistema NoiPA. Non dovrebbe essere applicata la ritenuta previdenziale a carico del dipendente ai sensi degli artt. 19, comma 2, ed art. 23 della legge n. 218/1952. In sostanza si tratta di differenze retributive maturate prima di essere assunti a tempo indeterminato, assimilabili ai miglioramenti economici post ruolo scaturenti dall’applicazione dei decreti di ricostruzioni di carriera. Sono diritti che sorgono nell’ambito della corrispettività del rapporto di rapporto di lavoro noto in ambito giuslavoristico come sinallagma funzionale.
DANNI RISARCITORI DA LUCRO CESSANTE
In secondo luogo abbiamo il danno da mancato guadagno, generalmente calcolato per un importo pari alle retribuzioni che il dipendente ha perso in quanto, a causa dell’illegittimo comportamento del datore di lavoro, non è stato assunto, oppure è stato assunto con colpevole ritardo rispetto alla giusta decorrenza del rapporto.
Detto risarcimento, ai fini fiscali, è tassato alla stregua dei redditi di lavoro dipendente per effetto del principio di sostituzione di cui all’art. 6, comma 2 del TUIR. Si applicano le altre norme tributarie richiamate sub A). Trattandosi di danno scaturente dal solo sinallagma genetico, assente l’effettiva prestazione, è soggetto alla regola della compensatio lucri cum danno, quindi alla detrazione dell’aliunde perceptum, nonché aliunde
percepiendum, quindi alle eccezioni processuali che, sia pure ex officio ex actis, vanno fatte rilevare in sede processuale dall’Amministrazione datrice di lavoro, convenuta in giudizio.
Infatti, una volta che il Giudice ha stabilito l’importo della condanna, questo va estinto dal datore di lavoro per il suo ammontare senza possibilità di postuma compensazione ex art. 1241 cc. Per ciò che attiene agli aspetti previdenziali, alla luce di quanto precisato dalla circolare INPS n. 6/2014, punto 7 e seguenti, salvi gli effetti della prescrizione, dette somme sono assoggettate a contribuzione previdenziale. In sostanza, secondo l’INPS, i risarcimenti di danni per lucro cessante, a seguito dell’armonizzazione introdotta dal D.L.vo n. 314/1997, sono soggetti a contributi in quanto considerati redditi ai fini delle imposte dirette.
A questo punto ci dobbiamo chiedere: trattandosi di risarcimenti di danni, e non di retribuzioni come nel caso sub A), in ambito pubblico, possono essere gestiti dal sistema NoiPA? Oppure devono essere soddisfatti con gli appositi capitoli di bilancio dei Ministeri soccombenti? Vi immaginate, nell’ipotesi della risposta negativa alla prima domanda, cosa succederebbe se le pubbliche amministrazioni (diverse dal MEF-RGS) dovessero occuparsi di questi redditi, sia per ciò che attiene alla certificazione unica, utile anche consentire all’Agenzia delle Entrate i controlli ex art. 36 bis e segg. del Dpr N. 600/1973, che per le comunicazioni Uniemens all’INPS?
Ritengo che la migliore soluzione del problema, nel settore pubblico, sia la seguente: Trattandosi di redditi che, ai fini fiscali e contributivi, subiscono lo stesso trattamento delle retribuzioni devono essere corrisposti agli aventi diritto attraverso il sistema NoiPA/Cedolino unico.
RISARCIMENTO DEL DANNO PER ABUSO DEL TEMPO DETERMINATO.
Il terzo caso più frequente è dato dalle somme che il Giudice riconosce a fronte delle violazioni della Clausola 5) dell’Accordo sindacale
allegato alla Direttiva UE sopra citata (c.d. clausola antiabuso). Queste hanno natura di danno emergente e non pertengono alla sfera reddituale del lavoratore, bensì esclusivamente alla sua sfera patrimoniale.
La fonte del danno non rientra in nessuna delle sei categorie reddituali previste dal comma 1 dell’art. 6 del DPR n. 917/1986. Il comportamento “abusivo” del datore di lavoro (reiterazione dei CTD nel tempo) incide negativamente sulle scelte occupazionali del lavoratore, sulle sue possibilità di fruire di chance alternative che gli avrebbero consentito di acquisire altrove il posto di lavoro a tempo indeterminato. Il lavoratore che rimane precario per un lungo periodo di tempo confida nell’assunzione a tempo
indeterminato da parte dell’amministrazione scolastica dello Stato, per cui non utilizza le possibilità alternative che egli ha per ottenere un rapporto stabile in altra amministrazione pubblica o nel settore privato.
Con il passare del tempo, la perdita di queste possibilità (chance) si traduce in una illegittima riduzione del suo patrimonio professionale. Detta riduzione non assume mai la funzione di perdita di redditi, ma incide direttamente sul patrimonio professionale del lavoratore precarizzato.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5072/2016, hanno stabilito che in questi casi al lavoratore pubblico, cui non è consentita la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato atteso il vincolo ex art. 97, comma 4, della Costituzione (cfr. art. 36, comma 5, D. L.vo n. 165/2001), spetta il c.d. danno comunitario, pari ad un numero di mensilità della retribuzione globale di fatto che va da n. 2,5 a n. 12 sulla base dei criteri di cui all’art. 8 della legge n. 604/1966, in applicazione della fattispecie omogenea delineata dall’abrogato art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, la cui normativa è stata trasfusa nell’art. 28, comma 2 del decreto legislativo n. 81/2015.
Peraltro, questa normativa dispone che il ristoro copre sia il pregiudizio retributivo che contributivo subito dal lavoratore. Per quanto attiene alla tassazione delle somme, le sentenze della Suprema Corte nn. 25471/2018, 4657/2019, 5108/2019, 27011/2019, 2472/2021, 4488/2022 e 14842/2022, nonché la sentenza n. 3429/2021 del Consiglio di Stato hanno statuito che il risarcimento di cui trattasi non ha natura reddituale per cui deve essere corrisposto al lordo, senza applicazione delle ritenute fiscali. A fortiori, non si possono applicare le ritenute previdenziali. Si tratta di somme che non producono effetti sulla posizione contributiva del dipendente.
In particolare, la sentenza del Consiglio di Stato sopra citata ha chiarito che l’importo della retribuzione globale di fatto da prendere in considerazione, in assenza di specificazioni temporali del dispositivo giudiziale, è quella in godimento alla data di deposito della sentenza. In definitiva, esclusa in radice la natura retributiva e reddituale del danno risarcitorio da abuso del contratto a termine, l’Amministrazione soccombente, per il pagamento, provvede con i fondi stanziati negli appositi capitoli di bilancio.
In mancanza di fondi, il Dirigente responsabile della spesa dispone il pagamento con in conto sospeso, ai sensi del comma 2, dell’art. 14 del D.L. n.669/1996 convertito nella legge n. 30/1997. Infatti, la posizione debitoria scaturente dalla condanna giudiziale non può essere soddisfatta con il sistema NoiPA/Cedolino unico in quanto non si tratta di redditi sostitutivi di retribuzioni, né ad essi assimilabili.
La materia qui trattata ha il solo scopo divulgativo e non rientra tra le attività libero professionali svolte dall’autore dello scritto, Dr Raffaele Minutillo.